Il lavoro riabilitativo in acqua per il particolare ambiente in cui si svolge è unico, piacevole e particolarmente stimolante sia per il paziente che per il terapista. La relazione che si stabilisce in acqua tra i due protagonisti è completamente diversa da quella che si instaura in una palestra o in una normale seduta di fisioterapia per la presenza di un terzo elemento: l’acqua.
Essa per le sue caratteristiche fisiche, entra nella classica relazione duale terapista-paziente influenzandola fortemente. In acqua si determina una relazione a tre: paziente, operatore ed acqua del tutto nuova ed insolita, diversa, inoltre per ogni singolo paziente. I benefici e i rischi di tale relazione triangolare devono essere analizzati e studiati prima con molta attenzione in modo da non compromettere i risultati terapeutici.
Infatti dal tipo di relazione che si istaura tra il paziente, il terapista e l’acqua e dalla reciproca interazione, dipende il successo della terapia in acqua o il suo fallimento. Molto spesso questo rapporto a tre è trascurato dagli operatori che lavorano in piscina con il conseguente abbandono precoce della terapia in acqua da parte di molti pazienti perché non sono stati aiutati a stabilire con essa una buona relazione, dunque è necessario che il lavoro riabilitativo in acqua sia proposto e realizzato da professionisti formati in modo specialistico. Ritengo che la relazione triangolare sia il presupposto alla base del lavoro riabilitativo in acqua, perciò l’ambientamento del paziente in acqua deve rappresentare il fulcro intorno a cui ruota tutto il percorso terapeutico. Tale relazione se ben costruita impostata e guidata passo passo è la risorsa fondamentale che hanno gli idrokinesiterapisti per creare quel circolo virtuoso di sensazioni e di azioni con cui stimolare i pazienti ed evitare che siano spaventati o agitati dal nuovo elemento in cui sono immersi. Il miglioramento delle loro condizioni di salute si ottiene solo se essi riescono a stabilire una buona relazione con l’acqua (ambientamento) e si lasciano guidare con fiducia dal terapista alla scoperta dell’acqua e delle sue innumerevoli valenze riabilitative.
Il corpo del paziente una volta immerso è in uno stato di microgravità; per molti risulta essere uno stimolo nuovo, molto forte, che assorbirà completamente la sfera sensoriale, emotiva ed intellettiva, l’immersione o il solo contatto con l’acqua spesso provocano ansia, paura e conseguenti blocchi del movimento e ritrosia all’agire. Inizialmente il terapista si dovrà dedicare in modo totale a questa relazione acqua-paziente con lo scopo di ottenere un buon rilassamento corporeo generale, condizione necessaria per ogni altra azione futura sul paziente stesso. Non dobbiamo dimenticare che i pazienti con disabilità motorie e/o sensoriali spesso hanno disagi emotivi; Per ottenere il totale rilassamento del paziente, il terapista ha a disposizione numerose risorse e diverse tecniche: la voce, lo sguardo, le mani e gli ausili galleggianti da usare sia come sostegno sia come stimolo propriocettivo. Attraverso l’utilizzo di tali strumenti e proponendo con pazienza, senza fretta, una gradualità di esercizi di ambientamento all’acqua si devono favorire la respirazione e l’equilibrio del corpo del paziente in modo che l’iniziale timore o disagio si trasformino in voglia di esplorare, di provare piacere e di muoversi nel nuovo ambiente in assenza di peso in uno stato di massima tranquillità e sicurezza.
Gli esercizi di ambientamento possibili sono migliaia, le situazioni da proporre per migliorare la relazione e la familiarità con l’acqua sono talmente varie e dipendono essenzialmente dallo stato di ogni paziente: non ci sono programmi preconfezionati ma di volta in volta si affrontano le difficoltà partendo dallo stato di relazione e di ambientamento che ogni singolo paziente ha con l’acqua.
L’approccio
all’ambientamento che proponiamo si basa, abbiamo detto, su due
prerequisiti principali: una buona respirazione e l’equilibrio corporeo. La
respirazione dovrà essere eseguita dal paziente con calma e in tranquillità in
tutte le posizioni possibili: inizialmente in acqua bassa, poi in galleggiamento
verticale in acqua più profonda ed infine in galleggiamento prono. L’equilibrio
del corpo in acqua dovrà essere gestito dal paziente con gradualità sempre in
massima sicurezza e man mano acquisendo un autonomia di galleggiamento senza
appoggi e senza aiuto. Le serie di esercizi proposti dal terapista saranno di
difficoltà crescente in base alla patologia e al grado di acquaticità posseduta
da ogni singolo paziente. Se si procede stabilendo una relazione triangolare
positiva tra acqua-paziente-terapista, si creerà un circolo virtuoso che rende
il lavoro riabilitativo in acqua unico poiché fa emergere nei pazienti delle
potenzialità e delle abilità motorie e relazionali che spesso rimangono nascoste
(abilità latenti) o poco valorizzate in altri contesti terapeutici. In
conclusione non pensiamo che l’acqua sia la soluzione unica in un programma
riabilitativo, ma crediamo che possa essere inserita a pieno titolo nei percorsi
terapeutici. Le attività motorie in acqua soprattutto per le dinamiche
relazionali triangolari descritte e per la globalità di intervento sono
particolarmente efficaci nelle disabilità infantili favorendo in modo
particolare: il decentramento, lo sviluppo dello schema corporeo e la
comunicazione sia verbale che non verbale, fattori fondamentali dello sviluppo
neuropsicologico dei piccoli pazienti.