I Criteri Diagnostici
La Sindrome di Angelman (SA) è un disordine neurogenetico
individuato dal Dott. Harry Angelman, un Pediatra inglese, nel 1965. Egli
identificò in tre dei suoi piccoli pazienti delle
caratteristiche comuni che comprendevano capelli ed occhi
chiari, ipopigmentazione cutanea, microbrachicefalia, epilessia, tremore,
atassia, assenza di linguaggio verbale e propensione al sorriso. Durante una
vacanza in Italia, visitando il museo di Castelvecchio a Verona, fu
particolarmente attratto da un quadro, il Ritratto di Fanciullo con disegno
di Giovanni Francesco Caroto (Fig.1), come si può osservare questo quadro
rappresenta un bambino sorridente che tiene in mano un disegno di un burattino.
Fu proprio questo quadro a farlo soffermare sul concetto di puppet,
“burattino o marionetta”, rimandando così al modo di muoversi di quei bambini,
alla marcia atassica ed ai movimenti a scatto degli arti. Nel 1967 Bower e
Jeavons aggiunsero l’accezione “felice” al termine di “burattino”, dando così
il via alla definizione di“Happy Puppet” Syndrome; solo dal 1982 si assunse
come denominazione l’eponimo di Sindrome di Angelman (SA).1
Figura
1.1 Ritratto di Fanciullo con
disegno
di
Giovanni Francesco Caroto
La diagnosi viene fatta da un pediatra, da un genetista e
da un neurologo sulla base dell’analisi di aspetti clinici e di test genetici.
La diagnosi viene spesso fatta tra i 3 ed i 7 anni, quando si rendono più
evidenti il fenotipo comportamentale ed il quadro clinico caratteristici.
Caratteristiche consistenti, presenti nel 100%
ritardo mentale severo;
assenza di linguaggio, abilità comunicativa non verbale
maggiore rispetto a
quella verbale;
disturbo del movimento o dell’equilibrio, generalmente
atassia e/o tremore;
riso/sorriso frequente; aspetto apparentemente felice;
riso parossistico;
personalità facilmente eccitabile, spesso con “sfarfallio”
delle mani;
irrequietezza motoria;
deficit d’attenzione;
Caratteristiche frequenti, presenti in più dell’80%
ritardo e sproporzione nell’accrescimento della
circonferenza cranica, spesso con
microcefalia dopo i 2 anni di età;
epilessia, spesso l’insorgenza avviene entro i 3 anni;
EEG tipico con attività ritmica di fondo lenta, anomalie
parossistiche posteriori,
onde-punta anteriori;
Caratteristiche associate, presenti tra il 20% e l’80%
occipite piatto;
solco occipitale;
protrusione della lingua;
scialorrea e disordini della deglutizione;
problemi di nutrizione durante l’infanzia;
prognatismo;
bocca larga con denti spaziati;
movimenti masticatori della bocca;
strabismo;
ipopigmentazione cutanea, capelli e occhi chiari in caso
di delezione ;
riflessi osteotendinei vivaci agli arti inferiori;
braccia a guardia alta (addotte, con avambraccio flesso
sul braccio), soprattutto
durante la marcia;
postura e marcia a base allargata;
disturbi del sonno con difficoltà di addormentamento,
risvegli precoci e ridotto
bisogno di sonno;
attrazione per l’acqua;
obesità (nei bambini più grandi);
scoliosi;
costipazione;
La diagnosi di SA viene
confermata da esami clinici diagnostici specifici che evidenziano:
- storia di epilessia e tracciati di EEG anomali
- mappa cromosomica alterata
Epidemiologia
La sindrome di Angelman riguarda
tutte le razze ed entrambi i sessi anche si riscontra prevalentemente nei
gruppi etnici di razza bianca.
La Sindrome di Angelman è considerata come un disordine
neurogenetico raro. Malattie rare si definiscono quelle la cui prevalenza nella
popolazione generale risulta bassa. Nella Comunità Europea rientrano in questo
gruppo di patologie quelle con prevalenza di 5:10000, in Italia quelle la cui
prevalenza è compresa tra 1:20000 ed 1:200000, con tali numeri si individuano
così più di 5000 malattie che vanno a costituire il 10% delle malattie totali.
Si stima che l’incidenza della S. di Angelman sia compresa tra 1 su 10.000 ed 1
su 40.000.2 Secondo l’Or.S.A., Organizzazione Sindrome di Angelman, l’incidenza
sarebbe maggiore, 1:10000-1:12000; riporta inoltre che i casi che risultano
diagnosticati in Italia sono circa 400 a cui però dovrebbero aggiungersi 5000
casi stimati misconosciuti. Nel mondo la SA è stata segnalata in diversi gruppi
razziali. Nel Nord America, la frequenza è maggiore tra i pazienti bianchi
rispetto ai pazienti di razza nera, tuttavia si
sono riscontrati alcuni casi tra gli Americani di origine
africana ed è stato segnalato un caso in un bambino sudafricano.
2
J. Clayton-Smith and Laan, J. Med. Genet. 2003;40;87-95
Genetica E Patogenesi
La sindrome di Angelman
è dovuta all’assenza o all’anomalo funzionamento della componente materna di
una regione del cromosoma 15 (15q11-q13) (Knoll J.H.M., et al., 1989;
Cooke A. et al. 1989 ). La perdita della componente paterna della stessa
regione del cromosoma 15 causa, invece, la sindrome di Prader-Willi (SPW).
Attualmente si presume
che le caratteristiche peculiari della SA siano dovute alla deficitaria
funzione o espressione del gene UBE3A che viene ereditato normalmente
dall’allele materno, ma i cui meccanismi sono ancora poco conosciuti.
I pazienti con SA possono essere suddivisi in
5 specifiche classi eziologiche a cui corrispondono meccanismi biologici e
rischi di ricorrenza differenti:
1)
delezione della regione SA/SPW sulla copia del cromosoma 15 ereditato dalla
madre;
2)
disomia uniparentale paterna;
3)
difetto del centro dell’imprinting (IC);
4) mutazione del gene UBE3A;
5)
meccanismi non identificati.
- Delezione: la mancanza della componente materna della regione 15q11-q13, de novo, è la causa più frequente della malattia (50-75% dei casi). Tale delezione, che interessa sempre il cromosoma 15 di derivazione materna, ha un’ampiezza di 4-6 Mb. Essa si estende generalmente dal gene MKRN3 prossimale al gene P (OCA2) distale. Alla delezione di quest’ultimo gene è correlata l’ipopigmentazione della cute e gli occhi chiari osservati nei pazienti deleti, in quanto il gene P è coinvolto nella melanogenesi, in particolare nel trasporto intracellulare dell’enzima tirosinasi e delle proteine correlate (Spritz RA et al, 1993; Toyofuku K et al, 2002). In alcune mamme di bambini con SA da delezione è stata inoltre osservata un’inversione della regione 15q11.2-q13 (la regione deleta nei figli con SA). È dunque possibile che anomalie pre-esistenti del genoma possano predisporre alla delezione.
- Disomia Uniparentale Paterna: entrambi i cromosomi 15 derivano dal padre, venendo a mancare il contributo genetico materno per la regione critica (Malcolm S. et al, 1991; Knoll JHM. et al.1991). Essa è presente nel 2-4% dei casi.
- Mutazioni del centro di imprinting (CI): sono presenti nel 3% dei casi. In questi casi l’alterazione è localizzata nella stessa regione cromosomica e coinvolge una regione genetica (CI) posta prossimalmente al gene SNRPN, in grado di regolare l’espressione differenziale delle informazioni genetiche: i geni che dovrebbero essere espressi dal cromosoma materno non lo sono più con un effetto analogo a quello della delezione e della disomia uniparentale. Piccole delezioni di questa regione sarebbero responsabili dei casi di AS che presentano un alterato pattern di metilazione.
- Mutazioni del gene UBE3A: descritte nel 5-11% dei casi. Parecchi individui che ereditano il cromosoma 15 da entrambi i genitori e con un normale pattern di metilazione presentano mutazioni del gene UBE3A, che codifica la proteina ubiquitina-ligasi E3A (Kishino T et al, 1997; Matsuura T et al, 1997). Questa proteina è implicata nel ciclo dell’ubiquitina il cui target è quello di selezionare le proteine da degradare. Circa il 40%-50% degli individui con un test di metilazione normale hanno una mutazione del gene UBE3A (Lossie AC et al, 2001)
- Altri meccanismi: nell’11-20% degli individui con SA con test di metilazione normale non si riscontra nessuna delle 4 cause genetiche descritte. È plausibile che un altro gene (localizzato altrove nel genoma) implicato nel ciclo dell’ubiquitina possa essere coinvolto e determinare il fenotipo SA.
Aspetti Medici
Al momento della nascita l’unico
tratto caratteristico che si può osservare nel neonato con sindrome di Angelman è una depressione occipitale
del cranio, mentre fino a 12 mesi non si rilevano elementi particolari nel
viso. Nel corso del primo semestre di vita compare il sorriso sociale che è frequente,
prolungato e a volte inappropriato. Quasi tutti i bambini presentano problemi
visivi (strabismo, nistagmo, ipoplasia maculare) e ipopigmentazione della pelle
e degli occhi. Nel corso della crescita diventano evidenti il prognatismo
mandibolare, la bocca di dimensioni superiori alla norma, la nascita di denti
spaziati tra loro, la lingua estesa in modo persistente all’esterno della bocca
e scialorrea.
I disturbi del sonno si
presentano quasi nella totalità dei bambini dai 2 ai 6 anni. Le ore di riposo
sono ridotte a 5-6 per notte e possono essere caratterizzate da frequenti
risvegli e da episodi di agitazione.
Le crisi epilettiche sono
presenti nell’80 per cento dei casi (Buiting, Saitoh e altri, 1995) e compaiono
tra i 6-10 mesi e 18 anni, ma solo nel 30 per cento dei soggetti prima dei 2
anni.
La salute generale dei soggetti
con S.A. è buona e in media raggiungono i trentacinque- quarant’anni e oltre. I
problemi di salute che possono presentarsi nella prima infanzia sono difficoltà
si suzione, infezioni respiratorie e otiti. Queste ultime sono dovute
all’alterazione del solco craniale, che ostacola la regolare ossigenazione alle
tube di Eustachio. Complicazioni successive possono riguardare: il persistere e
peggioramento degli attacchi epilettici; la comparsa di atteggiamenti
scoliotici che possono compromettere la deambulazione.
Gli Stati Evolutivi
La storia prenatale, lo sviluppo
fetale, il peso alla nascita e la circonferenza della testa delle persone
affette da Sa rientrano nei parametri medi di sviluppo. Nei primi mesi di vita
i soggetti possono presentare difficoltà specifiche di alimentazione e ritardo
nel sorridere, stare seduti da soli e fare i primi passi. Queste difficoltà
così generali all’inizio vengono considerate come normali ritardi del processo
maturativi dello sviluppo e per questo vengono sottovalutati e non c’è una
diagnosi tempestiva.
Alcuni tratti caratteristici possono
essere individuati nei primi sei mesi di vita, mentre gli aspetti clinici
peculiari si manifestano solo dopo il primo anno di età.
Le successive anormalità dopo il
primo anno di età riguardano:
- Evidenti microcefalie del 50 per cento dei casi. La maggior parte dei bambini con SA a tre anni presentano una circonferenza della testa inferiore al 25 per cento, spesso accompagnata da un appiattimento posteriore della testa.
- La comparsa degli scoppi di riso ed eventuale strabismo.
- Il ritardo psicomotorio: la posizione autonoma viene raggiunta tra i 6 mesi ei 3 anni di vita rispetto ai normodotati che raggiungono tale autonomia intorno all’anno di vita; il gattona mento intorno ai 22 mesi; la stazione eretta tra i 18 mesi e i 7 anni e nel corso di questi anni impara a camminare pur tuttavia presentando una serie di movimenti quali tremori, andatura legnosa e comportamenti inappropriata che sono tipici della sindrome (Zori, Hendrickson e altri, 1992). Questi tratti sono presenti in egual modo nei soggetti di entrambi i sessi. Il 1 per cento dei bambini non saranno mai in grado di camminare in quanto è presente l’ipertonia spastica agli arti che compromette marcatamente la deambulazione.
- L’assenza del linguaggio: il linguaggio espressivo è limitato a meno di sette parole in quasi tutti i soggetti. Pur presentando tale deficit viene conservata la capacità di comunicare con altre modalità ad esempio gestuale, infatti la memoria soprattutto quella dei visi e dell’orientamento spaziale sono meno compromessi.
- Comparsa di crisi epilettiche: queste cominciano nei primi sei mesi di vita, ma più frequenti tra i18-24 mesi. Sono stati individuati diversi tipi di crisi: convulsioni febbrili, spasmi, assenza, assenze miocloniche, crisi parziali complesse, crisi mio cloniche, crisi generalizzate tonico-cloniche, ecc. con il trascorrere dell’età (dieci anni) la prognosi per le crisi epilettiche è positiva con controllo parziale o totale.
- Nel 90 per cento circa dei bambini con SA è presente un’anormalità nel ciclo sonno/veglia. Questi bambini necessitano di un numero abbastanza limitato di ore di sonno, tra le 5 e le 6 ore per notte, soprattutto tra i 2 e i 6 anni di età. In genere questi disturbi migliorano con l’età. Nella letteratura medica è riportato un caso di notevole miglioramento della quantità e qualità delle ore di sonno dopo un trattamento comportamentale (Summers, Lynch e altri, 1992) . Clayton-Smith (1993) osserva in base ai suoi studi condotti in Inghilterra con 82 pazienti che i comportamenti disturbati e il sonno scarso migliorano con la terapia comportamentale e una serie di atteggiamenti costanti, prestabiliti concordati precedentemente con i pazienti.
- Iperattività che migliora con il passare dell’età; prediligono esplorare gli oggetti con la bocca masticando di continuo. La lingua nel 30/50% dei casi pur sembrando essere normale nella forma e nella dimensione appare un’estensione all’esterno della bocca. Questi bambini amano giocare con l’acqua, sono attratti dagli specchi, dai palloncini, dai giocattoli musicali e sonori. Come detto in precedenza la diagnosi avviene tra i 3 e i 7 anni e se i soggetti vengono seguiti in modo costane e appropriato son possibili miglioramenti. A livello fisico la pubertà. Nei giovani adulti l’irrequietezza motoria decresce con l’età. L’abilità di vestirsi autonomamente è variabile e le compromissioni si riscontrano nelle abilità motorie fini come l’allacciare bottoni, stringhe, chiusure lampo e la maggior parte degli adulti sanno mangiare con le posate. Gli individui con atassia grave pur avendo un’autonomia deambulatoria nel corso dello sviluppo può essere compromessa. La scoliosi può presentarsi in adolescenza ed è un problema serio per chi non cammina. Per quanto riguarda l’età di vita l’età media stimata è di trenta/quarant’anni. La natura affettuosa, che è un aspetto positivo della prima infanzia, può creare problemi nella sfera sociale in quanto incapace di modulare la loro espansività che può essere migliorata. Questi soggetti nonostante alcuni miglioramenti nell’area dell’autonomia e dell’indipendenza non raggiungeranno mai un grado di autonomie tali da potergli permettere di vivere da soli.
Gli Aspetti Psicosociali
Movimenti iperattivi del troco e
degli arti sono presenti fin dalla prima infanzia. I movimenti volontari sono
spesso irregolari che vanno da esili movimenti a scossoni che impediscono di
camminare, mangiare e svolgere tutte le attività di esplorazione tipico dei
neonati. Le tappe dello sviluppo motorio sono deficitarie: il riflesso di Moro
risulta da subito troppo pronunciato e i bambini imparano a camminare fra i 3 e
i 7 anni. L’equilibrio non è totalmente compromesso e anche di fronte a casi
piuttosto gravi in cui i ragazzi sono molto rigidi, si muovono come robot, vacillanti,
la deambulazione e gli spostamenti sono presenti seppur in modo difficoltoso.
La postura eretta si presenta estremamente immobile e fissa e il soggetto
appare come una statua “congelato”.
L’immagine caratteristica dei
ragazzi con S.A. è: gambe tenute larghe e ben piantate a terra, piedi piatti e
voltati all’esterno, braccia sollevate, gomiti flessi e mani rivolte verso il
basso. Infatti l’appellativo datogli è quello di “happy Puppet” (burattino
felice, marionetta felice). Molti bambini sono completamente atassici e si
muovono a scatti impedendo loro di camminare circa il 10 per cento finisce
sulla sedia a rotelle.
L’iperattività è il comportamento
più tipico dei soggetti con sindrome di Angelman. L’iperattività è l’incapacità
di prestare attenzione a qualunque stimolo venga presentato. I bambini
considerata la loro iperattività necessitano di essere sorvegliati in ogni
istante, facendo attenzione a cosa portano alla bocca e a quali e quanti
oggetti vengono manipolati o recuperati. Sono possibili numerosi incidenti,
bruciature o abrasioni. Altri comportamenti osservabili sono: l’aggrapparsi, lo
stringere e il morsicare.
Per quanto riguarda il
comportamento sociale, i bambini sono generalmente “felici”, socievoli e ridono
spesso anche senza un preciso motivo. La risata molte volte è l’espressione di
un evento motorio. Infatti la maggior parte delle reazioni agli stimoli fisici
e mentali sono accompagnate dal riso o da smorfie sociali. A questi
comportamenti felici si affiancano anche manifestazioni di irritabilità e
iperattività, il pianto, gli scoppi di risa, le urla e brevi suoni gutturali.
I bambini con S.A. preferiscono
attività che richiedono poca concentrazione e amano l’acqua. Prediligono
giocattoli in plastica, palloni, fotografie, giochi musicali, guardare la
televisione.
Come detto prima i soggetti
affetti da suddetta sindrome sono socievoli, affettuosi e amano stare con le
altre persone, ma non riescono ad interagire direttamente con loro. La loro
attenzione è talmente breve da ostacolare le interazioni sociali. Altri comportamenti
tipici che no agevolano la relazione e i rapporti di amicizia con i coetanei
sono: tirare i capelli, graffiare, sputacchiare, scialorrea. I giovani adulti
sono più abili socialmente soprattutto nell’interazione con adulti abituati o
operatori preparati e specializzati che sanno dedicare l’adeguata attenzione e
pazienza e mettono in atto precise pratiche di stimolazione.
Gli Aspetti Cognitivi
Uno dei tratti fondamentali della
SA è la presenza di un deficit nello sviluppo del linguaggio. Infatti nella
maggior parte dei bambini vi è la totale assenza del linguaggio; altri pronunciano
tre parole e si registra un caso di uso di sette vocaboli.
I neonati e i fanciulli piangono
meno spesso e hanno un decremento del balbettìo. Una singola parola come “mamma”
può svilupparsi tra i 10 e 18 mesi, ma può essere utilizzata senza un
significato simbolico. A 2-3 anni il ritardo nello sviluppo del linguaggio è
ormai palese, ma ciò non significa che questi bambini non comunicano, infatti
proprie in questa età compaiono le prime forme spontanee di comunicazione non
verbale. Alcuni parti del corpo vengono indicate e alcuni bisogni vengono
espressi con semplici gesti. Alla luce di quanto detto è fondamentale, affinché
queste competenze comunicative possano emergere in maniera efficace, una
partecipazione di questi bambini a training specifici. Altri soggetti in cui la
sintomatologia è più accentuata non raggiungono neanche il primo stadio della
comunicazione e stabiliscono il contatto solo con gli occhi. L’abilità di
comunicare attraverso forme non verbali varia considerevolmente e la maggior
parte dei soggetti raggiunge risultati soddisfacenti riuscendo ad imparare il
proprio nome e la firma utilizzando immagini al fine di comunicare. Le forme
prevalenti di comunicazione avvengono prevalentemente attraverso suoni, rapidi
movimenti delle mani, movimenti degli occhi o del corpo, cenni del capo per il
sì e per il no.
Le prestazioni ai test sono
compromessi dal deficit attentivo, dall’iperattività, dal mancato controllo
motorio e dall’assenza del linguaggio.
L’area in cui si riscontrano migliori
prestazioni è quella dell’area della comprensione e della produzione. Durante
la crescita possono avere uno sviluppo differente, in quanto alcuni possono
raggiungere discrete abilità di comunicazione sociale, scambi affettivi,
partecipazione in attività di gruppo o la partecipazione a piccole faccende
domestiche. Altri invece possono non arrivarci mai e solo in casi rari vi è
addirittura un peggioramento in termine di ritardo mentale e deficit di
attenzione. Questo si verifica in misura maggiore nei casi con difficile
controllo dell’epilessia, con atassia altamente pronunciata e con problemi
motori. Tuttavia in un ambiente protetto, stimolante, propositivo e con un
adeguato intervento comportamentale il bambino può imparare a superare gravi
deficit iniziali e realizzare alcuni progressi.
Ritardo Mentale E Test
Evolutivi
Il funzionamento neurologico dipende da numerosi aspetti
tra loro strettamente
correlati, in particolar modo motori, cognitivi ed
emozionali.
Tutti i pazienti con SA presentano ritardo mentale, che
può essere in parte oggettivato
con l’applicazione di scale psicometriche create per
bambini della prima infanzia. Tra
gli strumenti utilizzati in letteratura è riportata la
scala di sviluppo Bayley; essa è
composta da cinque scale principali, tre delle quali
vengono somministrate interagendo
direttamente col bambino (cognitiva, linguaggio e
motoria), due attraverso un
questionario ai genitori (socio-emozionale e comportamento
adattativo). La scala di
sviluppo Bayley III andrebbe somministrata a bambini da 1
a 42 mesi d’età ed è così
strutturata:
Scala Cognitiva: per la valutazione ad esempio delle
modalità di esplorazione, di
manipolazione, di formazione di concetti.
Scala del Linguaggio Ricettivo: valuta comportamenti pre
- verbali e la
comprensione verbale.
Scala del Linguaggio Espressivo: valuta comunicazione
pre - verbale, lo
sviluppo del vocabolario.
Scala delle abilità Fino-Motorie: valuta tracciamento
visivo, raggiungimento,
manipolazione di oggetti, presa e risposta
all'informazione tattile.
Scala delle abilità Grosso-Motorie: valuta postura,
movimento dinamico
(locomozione e coordinazione), equilibrio e pianificazione
grosso-motoria.
Scala Socio-Emozionale: valuta la padronanza che il
bambino ha della propria
funzionalità emotiva, bisogni comunicativi, capacità di
relazionarsi con gli altri,
di utilizzare le emozioni in modo interattivo e
finalizzato e uso dei segnali
emotivi per risolvere i problemi.
Scala del Comportamento adattivo: valuta le abilità
funzionali quotidiane del
bambino, misurando cosa effettivamente fa, aldilà di
quello che sarebbe in grado
di fare:
Dan (2008) riporta i risultati degli studi ottenuti con
l’applicazione di questa scala
psicometrica, uno di essi ha ottenuto una variabilità
della severità del ritardo mentale;
nel 5% ritardo mentale medio, nel 40-54% moderato, nel 38%
un ritardo severo, nel 3%
profondo.
Altri studi riportano dei risultati simili con la
somministrazione delle Scale Griffiths
anch’esse articolate in varie aree:
Scala Locomotoria
Scala Personale - sociale
Scala Udito e linguaggio
Scala Coordinazione oculo - manuale
Scala Performance
Dai risultati ottenuti dall’applicazione dei vari test
evolutivi emerge che l’età mentale
media di questi bambini varia dagli 8 ai 14 mesi. C’è da
aggiungere però che sia la
somministrazione di questi test, sia i risultati ottenuti,
sono inficiati dalla combinazione
di diversi elementi, quali iperattività, deficit d’attenzione,
assenza di linguaggio e
compromissione del controllo motorio. Si pensa quindi che
le abilità cognitive dei
bambini con SA siano maggiori rispetto a quelle emerse dai
test.
Altri aspetti da prendere in considerazione per un
approccio corretto al ritardo
mentale sono l’epilessia, l’atassia severa ed il deficit
grave della coordinazione motoria.
Soprattutto nei casi in cui l’epilessia risulta
farmacoresistente si osserva una maggior
compromissione del livello cognitivo.
Nonostante tutte le precedenti considerazioni è possibile
per questi bambini un
progresso, seppur lento, dello sviluppo mentale,
condizione assolutamente rilevante per
l’acquisizione di autonomie nell’uso delle posate per
mangiare da soli, svestirsi e
vestirsi autonomamente fare delle
scelte e comunicare.
Linguaggio E
Comunicazione Aumentativa Alternativa
Sviluppo Del Linguaggio Verbale
Caratteristiche peculiari si distinguono per il disturbo
del linguaggio in ciascuna fase
dello sviluppo:
neonati e lattanti piangono meno, la vocalizzazione è
scarsa e la lallazione
ridotta;
successivamente si osserva un gergo poco variato che non
evolve in eloquio;
intorno ai 10 – 18 mesi possono svilupparsi singole
parole, come “mamma”
o “papà” anche se spesso sono usate senza significato simbolico;
entro i 2 – 3 anni di età diviene evidente il ritardo di
linguaggio, inoltre
anche pianto ed altre manifestazioni vocali possono essere
ridotti;
entro i 3 anni i bambini con S.A. che presentano
prestazioni migliori iniziano
a sviluppare spontaneamente un tipo di linguaggio
non-verbale, ad esempio
portano l’adulto verso l’oggetto desiderato, indicano
l’oggetto, usano
qualche gesto referenziale (ciao / è buono/ non c’è più/);
esprimono
approvazione o disapprovazione con il comportamento (sorriso
e agitazione
delle braccia o pianto). Altri soprattutto quelli con
gravi forme di epilessia o
con grave iperattività, sembra che non prestino
sufficiente attenzione e
interesse alla comunicazione, tanto da non riuscire a
stabilire neanche un
contatto oculare prolungato (qui l’errore diagnostico
comune è quello del
disturbo dello spettro autistico).
La Comunicazione Aumentativa e Alternativa (C.A.A.), come
specifico ambito
di studio e di intervento, nasce ufficialmente in
Nord America nel 1983 con la creazione
della International
Society of Augmentative and Alternative Communication
(I.S.A.A.C.). Nel 1989 nasce il primo “gruppo italiano per
lo studio sulla C.A.A.” e nel
1996 sorge la prima e tuttora unica “Scuola annuale di
formazione in C.A.A.” che si
tiene a Milano presso il Centro Benedetta D’Intino.
«Con Comunicazione Aumentativa e Alternativa si definisce
l’insieme di conoscenze,
di tecniche, di strategie e di tecnologie che è possibile
attivare per facilitare la
comunicazione in persone che presentano una carenza o
un’assenza, temporanea o
permanente, nella comunicazione verbale» (Rivarola et al.,
2000).
Lo sviluppo della C.A.A. è nato per incrementare le
abilità comunicative di bambini (in
particolare quelli con esiti di Paralisi Cerebrale Infantile)
in cui era evidente la
discrepanza tra linguaggio espressivo, gravemente
deficitario, e linguaggio ricettivo, che
non presentava invece severe compromissioni). Nel 1°
convegno mondiale sulla SA
organizzato dallo IASO nel 2000, A. Rivarola NPI e direttrice
della scuola di
formazione in CAA presso il Centro Benedetta D’Intino di
Milano, riferiva sulle prime
esperienze di utilizzo della CAA con soggetti con SA.
La C.A.A. comprende ogni forma di comunicazione che
sostituisce, integra, aumenta il
linguaggio verbale orale. In essa rientrano quindi tutti
gli interventi volti a:
stimolare e migliorare l’abilità a comunicare con
modalità naturali in persone
con gravi disabilità fisiche o intellettive;
fornire ad individui privi o carenti di linguaggio verbale
mezzi espressivi il più
possibile adeguati ai loro
bisogni.
espandere le capacità comunicative del soggetto tramite
tutte le modalità e tutti i
canali a disposizione.
Da ciò ne deriva che la C.A.A. non è sostitutiva del
linguaggio orale e neppure ne
inibisce l’insorgenza quando questo sia possibile; si
traduce spesso invece in sostegno
alla relazione, alla comprensione e al pensiero.
L’obiettivo principale della C.A.A. è la compensazione
della disabilità
(temporanea o permanente) di persone con gravi disordini
espressivi, attraverso la
creazione delle condizioni che permettano loro di
avvalersi di opportunità comunicative
efficaci, quali l’uso di modalità comunicative non
verbali. Tale obiettivo si raggiunge
attuando percorsi a media-lunga scadenza, atti a
potenziare e sviluppare le competenze
comunicative presenti, in primo luogo la motivazione a
comunicare. Ciascun percorso
deve nascere dai bisogni comunicativi della persona e gli
strumenti che vengono forniti,
vanno adattati alle sue esigenze del momento, devono
essere flessibili ed evolversi nel
tempo, parallelamente all’evoluzione della persona stessa,
in tutti i suoi aspetti.
La C.A.A. è per definizione multimodale: utilizza e
integra diverse modalità
comunicative partendo da quelle residue che la persona
mette in atto spontaneamente.
Gli strumenti di cui si avvale sono riportati qui di
seguito:
Tabelle di comunicazione: supporti di materiale
cartaceo o plastico, sui quali si
applicano i simboli che veicolano una serie di messaggi. I
messaggi possono
essere rappresentati con disegni, fotografie, simboli
grafici, lettere, parole. Sopra
ad ogni simbolo viene sempre riportata la parola scritta
corrispondente al
referente, così da rendere possibili scambi comunicativi
anche con chi non
conosce il sistema grafico utilizzato.
Diari dei resti: si tratta di un quaderno in cui
vengono incollati i “resti” delle
esperienze fatte (un biglietto del cinema, foto,
conchiglie, ecc.) per fissare
un’esperienza fatta al fine di rievocarla e poterla così condividere
con altre
persone, diversamente la persona con un deficit del
linguaggio verbale non
avrebbe gli strumenti necessari per “raccontarsi”.
Favorisce inoltre la
sequenzialità del tempo, lo sviluppo del vocabolario e
fornisce al soggetto e al
suo interlocutore un pretesto per aprire una comunicazione
di senso.
VOCAs (Vocal Output Communication Aids), tastiere
più o meno complesse
(con un solo pulsante, una serie di pulsanti fino ad
arrivare a dispositivi molto
simili alla tastiera di un PC). Su ogni pulsante è
possibile applicare un simbolo
(un’immagine, una parola, ecc.) e la pressione di ciascun
tasto trasmette un
messaggio vocale preregistrato, che corrisponde al simbolo
posto su di esso, in
tale modo si cerca di ristabilire un ruolo naturale dell’interlocutore
parlante, che
nell’interazione comunicativa resta in ascolto senza dover
prestare attenzione
continua ad ogni indicazione del disabile. Inoltre la
possibilità di sentire la voce
(anche se si tratta di un messaggio preregistrato da
un’altra persona) ha un forte
impatto emotivo.
Software di comunicazione: sono programmi
eseguibili al PC che permettono di
riprodurre sullo schermo le tabelle di comunicazione, a
cui è possibile associare
l’uscita in voce. I vantaggi sono notevoli: non hanno limitazioni
nel numero di
messaggi disponibili, l’accesso può avvenire tramite
modalità diverse (tastiera,
dispositivi di puntamento, sensori), possono essere utili
anche come sistemi di
scrittura ed essere un ottimo ausilio nell’apprendimento
scolastico.
Sensori: sono strumenti indispensabili per le
persone con deficit motori, che non
potrebbero accedere al computer mediante le normali
tastiere manuali, sono
diversi secondo la modalità di attivazione ed i feedback
meccanici, elettronici, a
fibre ottiche, a fotocellule, a
soffio, vocale, rilevazione della minima contrazione muscolare.
La Neuropsicomotricità In Acqua come Terapia Nella Sindrome Di Angelman.
Dopo una esperienza su alcuni casi clinici con
risultati molto soddisfacenti possiamo concludere che la terapia in acqua è una
risorsa importante da sfruttare con le pazienti affette dalla sindrome di Angelman
sia per i miglioramenti evidenziati nell’aria motoria, in modo particolare
nelle abilità di spostamento e coordinazione bimanuale sia nell’aria neuropsicologica
ma a patto di organizzare il lavoro in modo da definire gli obiettivi sia a
breve che medio e a lungo termine. Con il progetto seguente fornisco un idea di
come di può intervenire….
L’Acqua Mediatore Di Comunicazione
Il percorso
che è stato intrapreso ha dato ampio spazio all’osservazione, per cercare di
conoscere e per quanto possibile capire le modalità comunicative dei bambini.
Si è
tentato di non tralasciare nessun aspetto considerando, come afferma P. Watzlawich
nel libro “La Pragmatica della comunicazione” che
NON E’ POSSIBILE NON COMUNICARE,
NON ESISTE
UN NON COMPORTAMENTO, L’ATTIVITà O L’INATTIVITà, LE PAROLE O IL SILENZIO HANNO TUTTI VALORE DI MESSAGGIO. |
Partecipare
direttamente al processo evolutivo del bambino portatore di handicap significa
non solo doversi mettere in discussione, ma ricercare modalità di comunicazione
alternative, dove non esiste niente di assoluto, tutto è relativo e
modificabile.
Il
linguaggio verbale non può più essere, il canale di comunicazione dominante, tutti
i tipi di linguaggio concorrono alla strutturazione dinamica e aperta del
pensiero; la scuola e i centri riabilitativi devono poter offrire a questi
bambini una pluralità di interventi educativi che valorizzino le diversità di
ciascuno.
Il mediatore
facilitante, che mi ha permesso di costruire un contesto riabilitativo
alternativo e stimolante con questi pazienti è l’ACQUA, in quanto
stimola tutto il sistema neuro- muscolare, consente attraverso il rilassamento,
un progressivo distendersi delle tensioni e delle contrazioni muscolari;
l’ambiente micro gravitario induce quel sentimento di piacevolezza e quella sensazione di abbandono-contenimento
che permette di costruire nuovi modi di stare insieme e di strutturare nuove
abilità.
L’attività
motoria in acqua offre al bambino una occasione per sperimentare la sicurezza e
la fiducia verso l’altro che diventano le condizioni indispensabili affinchè le
esperienze possano essere vissute in un contesto relazionale positivo e di
reciprocità. L’acqua accoglie, sostiene, culla, diverte, permette di accorciare
le distanze tra le persone e stimola l’interesse per nuovi apprendimenti
favorendo una progressiva crescita del senso di autonomia.
Giocando
con il proprio corpo in acqua si sperimentano le possibilità di equilibrio, di
movimento, direzione, propulsione, contatto. L’operatore con il suo contatto e
con la sua presenza accompagna il bambino in questo percorso di esplorazione,
lo guida alla scoperta del proprio corpo in relazione al nuovo spazio, agli oggetti
e agli altri.
Condivide
con lui il piacere e la soddisfazione di conquistare progressivamente autonomia
e nuove abilità.
Nel clima
di distensione e di dialogo tonico favorito dallo stare in acqua il bambino
tende a concentrarsi più facilmente sull’azione proposta, riesce a guardare
negli occhi l’adulto, supera più facilmente le proprie inibizioni e
diminuiscono di frequenza e intensità i comportamenti aggressivi e auto
aggressivi.
I limiti
fisici vengono ridimensionati grazie all’effetto dell’acqua e in ogni caso la
partecipazione all’attività svolta in piscina offre al portatore di handicap
un’occasione spesso irrinunciabile per esprimere le proprie capacità.
Obiettivi Generali
- sviluppare una positiva immagine di sè
- sviluppo nell’autonomie della vita quotidiana e generale.
-
scoperta
del proprio corpo attraverso lo sviluppo delle afferenze.
-
costruzione
e consolidamento di un modificato schema corporeo.
- miglioramento delle funzioni neuro muscolare, respiratoria e cardiocircolatoria.
- sviluppare le capacità che organizzano e regolano il movimento.
- sviluppare le capacità percettivo motorie di contatto e relazione con
l’adulto.
- sviluppare una buona condizione generale di rilassamento.
- scoperta e utilizzo dei diversi canali comunicativi (cinestesico, visivo,
verbale)
- sviluppo dell’intenzionalità comunicativa.
- riduzione degli stati d’ansia e degli atteggiamenti aggressivi e auto
aggressivi
- sviluppo dei fondamentali del movimento in acqua:
1) ambientamento
assistito
2) respirazione
con e senza apnea
3) galleggiamento
4) scivolamento
Attività In Acqua
a)
autonomia: Es. spogliarsi...rivestirsi...la doccia…
b)
ambientamento generale:
- ingresso
in acqua
- contatto
dell’acqua sul corpo, sul viso.
-
rilassamento con ausili e con le prese dell’operatore
-
scivolamento prono con aiuto
-
scivolamento supino con aiuto
-
immersione del volto (coordinazione inspirazione \ espirazione)
- galleggiamento
prono con e senza appoggi
-
galleggiamento e scivolamento autonomo
- battuta
di gambe a Crawl
- battuta
di gambe a Dorso
-
coordinazione braccia-gambe a crawl
-
coordinazione braccia e gambe a dorso
- uso dei
materiali
-
interazione con coetanei (giochi)
Il Metodo Di Lavoro E Gli Strumenti
Il bambino
con disabilità frequentemente instaura delle “strategie di difesa” che si
esprimono nell’isolamento e in alcune stereotipie. Egli crea dei veri e propri
muri e schermi protettivi con il proprio corpo. “Il bambino agisce
sull’ambiente in modo che l’ambiente stesso non possa agire su di lui”.
Inizialmente verrà privilegiato il rapporto con l’adulto, finalizzato alla
costruzione di un forte dialogo tonico e di un contesto piacevole
caratterizzato da un’atmosfera gioiosa e fiduciosa. Questo
particolare stato emotivo favorisce anche la memorizzazione delle esperienze.
Le emozioni organizzano l’informazione nella nostra mente: creano infatti
una rete associativa supplementare che consente di collegare fra loro gli
eventi e quindi di recuperarli molto più facilmente dalla memoria. L’adulto
vivrà insieme al bambino ogni esperienza in stretto contatto fisico e
parteciperà ad ogni scoperta lasciando libero il bambino di organizzarsi e di
ricercare l’adattamento migliore attraverso un percorso di ricerca-azione.
Verranno
creati ed organizzate situazioni di giochi corporei con diversi oggetti e
ausili galleggianti e costruiti dei percorsi con oggetti posti sia in
superficie che sotto l’acqua di diversi materiali. Es. (tavolette, tubi,
ciambelle, tappetini semigalleggianti, animaletti galleggianti, palloni, ecc.
ecc.).
Le attività
si svolgeranno sia nella vasca piccola che in quella grande.
Valutazione
In questo
progetto la valutazione intesa come “riflessione pedagogica sulla verifica” è
uno degli aspetti fondamentali, in quanto permette agli operatori di
autoregolare la programmazione e di ricercare negli alunni quella che Vygotskij
chiama “zona di sviluppo prossimale” e che in campo educativo si può tradurre
in “zona prossimale di apprendimento”.
Progettare gli
interventi in quel tempo-spazio situato tra ciò che l’allievo ancora non sa ma
che potrebbe sapere se opportunamente aiutato dall’adulto, significa porre
anche l’alunno con handicap nella condizione di IMPARARE AD IMPARARE.
Opportune
schede di verifica aiutano a monitorare l’iter terapeutico e il raggiungimento
degli obiettivi previsti sia a breve, medio e a lungo termine.